La psicoterapia è una tecnica di cura della psiche che si articola e si declina in diversi modi, in relazione ai paradigmi teorici di riferimento.
Non è facile, per chi stia pensando di accedervi, orientarsi nella molteplicità delle proposte e delle relative denominazioni (cognitivista…sistemica …analitica… a mediazione corporea… psicosomatica…ipnosi…umanistica…ecc…), per cui voglio cercare di chiarire il mio modo di pensare e di lavorare.
La mia impostazione fa riferimento alla “psicosomatica simbolica”, e specificamente alla “ecobiopsicologia” che postula l’unità di corpo e mente e la stretta relazione fra vita biopsicologica e ambiente.
La terapia psicosomatica si rivolge non solo alla sofferenza psichica ma anche al disturbo e alla malattia fisica, come espressione di un problema a livello psichico.
Fra i miei pazienti ci sono persone che soffrono di disturbi psicologici come anche persone che hanno disturbi somatici, dai più lievi ai più gravi. Nel caso di malattie fisiche il mio intervento affianca quello del medico così da potenziarlo, ma è teso a comprendere quali sono le cause psichiche che hanno ammalato l’anima di quella persona prima ancora che il corpo. La persona può così rendersi conto che non esistono un corpo e una mente ma esiste un processo unitario in cui psiche e corpo sono entrambi malati, un processo unitario che accade continuamente.
Il nostro corpo è lo specchio della nostra mente istante dopo istante. In entrambi i casi, che si tratti di disturbi squisitamente psicologici o di disturbi fisici, nella psicoterapia, la parola è al centro della scena. Una parola che dà voce a ciò che di problematico, inespresso, inascoltato si agita in noi. E queste parole, nel dialogo fra due persone, il paziente e il terapeuta, divengono gradatamente comprensioni e consapevolezze nuove.
Al di là delle tecniche e delle teorie, che pure ne costituiscono le necessarie premesse, dobbiamo vedere la psicoterapia come un incontro fra due persone che, nello spazio rituale del setting, creano una relazione di intimità, di fiducia, di scambio. La relazione terapeutica è una delle più profonde che possiamo sperimentare, è uno dei luoghi privilegiati in cui “ eros e anima” si incontrano. La psicoterapia in cui mi riconosco è il “fare anima”, la felice espressione, introdotta da James Hillman, che dà conto, in modo mirabile, di quello che accade nella psicoterapia così come nelle relazioni più significative.
La relazione terapeutica mette in moto comprensioni e consapevolezze nuove e richiama in superficie quel mondo emotivo che era stato accantonato e rimosso ma che, inascoltato, produce pressione, sofferenza e impoverimento. Comprendere razionalmente è solo un aspetto, necessario ma non sufficiente. Ciò che è veramente indispensabile è il movimento di emozioni che viene suscitato nell’incontro col terapeuta. Sono proprio le emozioni che danno la motivazione ad iniziare e poi a proseguire un percorso, certamente impegnativo, ma trasformativo e rivitalizzante.
Non bisogna pensare che le emozioni, i sentimenti, i ricordi, i vissuti del paziente vengano accolti con un atteggiamento di distante neutralità. Si parla di neutralità del terapeuta nel senso che, questi, non può e non deve portare nella propria vita i problemi del suo paziente. Il percorso terapeutico su se stesso che ha a sua volta fatto, gli ha insegnato a tenere una distanza che non va scambiata per freddezza o disinteresse. Anzi, è proprio questa “distanza” dalla propria vita che consente, nel setting terapeutico, il massimo del coinvolgimento e della partecipazione nel rispetto della individualità, del carattere, dell’orientamento, delle scelte di ciascuno.
Il “setting” è uno spazio e un tempo rituale che comprende alcune regole concordate: quante volte, dove, il costo, come ci si comporta in caso di…, che fa da contenitore della relazione, degli obiettivi, delle teorie, delle tecniche e degli accadimenti che via via si presentano.
Ma il setting terapeutico è molto di più di tutto questo, lo definirei uno “spazio sacro”. Il “fare anima” dona sacralità all’incontro di due persone che hanno cose da dirsi e da scambiarsi in un rapporto di empatia, cioè di sentire insieme e di alleanza terapeutica.
Il terapeuta è un alleato del paziente, non dei suoi sintomi o del suo modo distorto di vivere.
Jung ha definito la terapia un’arte più che una scienza, nel senso che il sapere deve divenire un atteggiamento creativo. La parola del terapeuta non può essere mai banale o scontata, erudita o verbosa. La sua parola deve essere autentica e possibilmente creativa, una parola che sa entrare in contatto col dolore dell’altro, ma che non esclude la leggerezza e anche l’umorismo.
L’ascolto è un’altra qualità del terapeuta, un ascolto focalizzato che sappia intuire anche quanto non viene detto.
Jung definisce il terapeuta un guaritore ferito nel senso che proprio le ferite, che come tutte le altre persone ha subito, divengono la fonte della propria sensibilità e della propria possibilità di sentire insieme all’altro. Dunque non è una persona inattaccabile che non conosce la sofferenza, ma una persona che, anche facendo leva su quanto personalmente ha conosciuto, cerca di essere d’aiuto.
Il sintomo che ci affligge, sia questo di natura psichica ( ansia…fobia…panico…problemi alimentari…) o di natura fisica ( gastrite…emicrania…allergie…fino alle più gravi malattie ) è come la spia che si accende sul cruscotto dell’auto per segnalare una più o meno grave anomalia o guasto. In analogia, il sintomo, in quanto disturbante e a volte anche invalidante, ci spinge a cercare di comprendere che cosa ci sta segnalando e in quali ambiti vi sia stata una rottura di quell’equilibrio che chiamiamo salute e benessere. Il sintomo non è di immediata comprensione perché, come il sogno, si esprime attraverso l’elusività e l’ambivalenza del simbolo, che tuttavia può essere compreso ricorrendo alla nostra mente intuitiva oltre che razionale.
Anche con l’aiuto dell’analisi dei sogni, possiamo cercare di portare alla luce tutta quella parte di rimosso che costituisce un blocco al libero fluire dell’energia. Ciò rende possibile l’instaurarsi di una nuova dinamica energetica e dialogo fra coscienza ed inconscio, e questo, di per sé, rivitalizza e porta nuova linfa alla nostra psiche. Queste nuove energie e comprensioni rendono possibile quella trasformazione che è l’obiettivo stesso del lavoro psicoterapeutico.
Trasformazione è la parola chiave di ogni psicoterapia perché ciò che ci fa ammalare è sicuramente una statica situazione esistenziale, in cui bisogni vitali sono disattesi producendo intollerabili situazioni di stress, pesanti situazioni conflittuali interiori e relazionali, insopportabili sensazioni di vuoto e di isolamento, di imprigionamento, di impotenza, di insicurezza, di inadeguatezza, per citare solo alcuni dei vissuti del malessere e del disagio esistenziale. Ogni nostro “disagio”ci chiama in causa e ci sfida ad operare quella trasformazione interiore indispensabile per orientarci anche verso nuove azioni e scelte di vita, là dove fossero necessarie.
Considero l’analisi dei sogni uno dei principali ambiti del lavoro terapeutico. I sogni ci rivelano quanto non è presente alla nostra consapevolezza, ci indicano le cause più profonde del nostro malessere e ci orientano verso soluzioni vere e profonde piuttosto che verso sbrigativi, quanto provvisori, tentativi di sopprimere il sintomo.
Psicologa e Psicoterapeuta a Ferrara
Iscrizione Albo n. 409 del 14/11/1989
P.I. 01804291209