Il linguaggio simbolico del sintomo

La psicanalisi ha messo in evidenza che un disagio psichico di rilevanza clinica è espressione di un conflitto. Conflitto fra coscienza e inconscio, fra i bisogni dell’una e dell’altro che non trovano un punto di incontro, una mediazione sana. A volte questa mediazione, questo compromesso fra opposte pressioni è proprio la malattia psichica, che può essere di varia natura e gravità in relazione alla intensità di questo conflitto e alla forza e solidità dell’io.

I sintomi specifici dei vari quadri clinici saranno l’espressione simbolica di quel conflitto che, in quanto inconscio, non potendo essere detto con le parole e razionalmente compreso, viene espresso attraverso il linguaggio del sintomo. Esso non è sempre facilmente decodificabile perché, esprimendosi in simboli sfugge alla logica del pensiero razionale. E’ un linguaggio illogico ma non incomprensibile, se facciamo ricorso al nostro pensiero intuitivo. In realtà il linguaggio simbolico non è illogico ma analogico.

Mentre il pensiero razionale si basa sul principio di causa-effetto ( es: sento freddo perché si è abbassata la temperatura…) il pensiero intuitivo si basa sull’analogia, coglie cioè le relazioni di somiglianza  piuttosto che le relazioni di causa. Le onde del mare, le chiome di un albero, i capelli di una donna mossi dal vento non hanno nulla in comune se non una qualche somiglianza: un movimento sinuoso. Quel movimento rappresenta la relazione simbolica fra questi diversi oggetti.

Un uomo che si sente spento, stanco e devitalizzato, sogna che nel suo giardino c’è un albero secco mentre tutto intorno è primavera. Che relazione c’è fra lo stato d’animo di questa persona  e quest’albero del sogno? Possiamo cogliere una somiglianza fra il suo sentirsi privo di vita e l’albero secco e morto, mentre intorno la vita rinasce. Questa somiglianza, questa analogia fra l’uomo e l’albero è il tipo di linguaggio del nostro pensiero intuitivo che, in questo caso, si esprime attraverso un simbolico albero. Un simbolo è qualcosa che sta per qualcos’altro, che non è uguale ma assomiglia in qualche aspetto significativo e che è emotivamente rilevante.

I sintomi con cui esprimiamo le nostre malattie parlano questo linguaggio simbolico. Alcuni sono facilmente intuibili, altri meno, anche perché sono costruzioni soggettive.

Per esempio chi, a causa di un disturbo ossessivo, è portato a lavarsi continuamente le mani, probabilmente sta esprimendo, attraverso il simbolo del “lavare via”, la sua paura di qualcosa sentito come sporco e minaccioso. Oppure chi, per un disturbo fobico, deve evitare i luoghi chiusi, probabilmente sta esprimendo, attraverso il simbolo del ”luogo chiuso”, il suo tentativo di evitare soffocanti e intollerabili relazioni presenti o passate. O ancora chi, per un disturbo da attacchi di panico, teme di restare ingabbiato in una fila di automobili senza via d’uscita, probabilmente sta esprimendo, attraverso il simbolo “senza via d’uscita”, il suo terrore di gabbie psichiche ed esistenziali.

Che differenza c’è fra un disturbo di natura psicologica e una malattia che colpisce il corpo? Che cosa hanno in comune?

In entrambi i casi si può rilevare la presenza di un conflitto fra coscienza ed inconscio, fra istanze istintuali e istanze razionali. Tale conflitto inconscio deve trovare una via espressiva o a livello psichico o a livello dell’inconscio corporeo. Nel primo caso ci saranno sintomi e simboli psichici, nel secondo caso avremo sintomi e simboli fisici.

Come mai si può esprimere il conflitto attraverso il linguaggio del disturbo psichico o attraverso quello del disturbo fisico?

Il disturbo somatico è indice di una maggiore quantità di rimozione, ovvero di esclusione dalla coscienza di emozioni, sentimenti, eventi che ci disturbano e coi quali non vogliamo venire in contatto. I processi cognitivi ed emotivi, a causa della massiccia rimozione, non hanno potuto, neanche parzialmente, fare da filtro e ciò ha determinato il precipitare nel corpo della malattia.  

Che differenza c’è fra un piccolo disturbo e una grave malattia?

La differenza sta nella qualità, vastità, intensità del conflitto sotteso e da quanto tempo questo è presente..

Molto spesso si intende per disturbo psicosomatico un certo quadro morboso, più apparente che reale, che si manifesta attraverso disturbi in cui vi è una certa alterazione della funzione di un organo senza esservi una lesione effettiva ( gastrite…colite…asma…ipertensione…).

Il fatto che vi sia  un’alterazione di una funzione  piuttosto che una lesione d’organo indica soltanto un diverso grado di gravità: più lieve nel caso dell’alterazione di una funzione, più grave nel caso di una vera e propria lesione.

Per esemplificare voglio citare il caso di una persona che chiese la mia consultazione  per un problema di grattamento, tanto intenso da richiedere addirittura un ricovero. Fu accertato che quel disturbo non aveva alcuna causa organica.

Nel racconto che mi fece di sé, della sua vita, dei suoi problemi, emerse rapidamente un grande conflitto col marito. Essa  nutriva sentimenti di ostilità che non poteva permettersi di esprimere, a causa di una progressiva invalidità di cui il marito era stato colpito.

Il sintomo del grattarsi a sangue esprimeva, a livello simbolico, quella ostilità che non potendo essere diretta contro il marito malato, veniva rivolta contro se stessa.

Questa persona, quando si  rese conto del significato del suo grattarsi interruppe gli incontri. Preferì tenersi il suo sintomo anche se disturbante ed esasperante piuttosto che rischiare un conflitto aperto e una possibile rottura col marito. Il conflitto relazionale era intenso ma presente alla coscienza, più in profondità e del tutto inconscio era il conflitto fra parti istintuali di sé (l’aggressività – l’attaccamento) e parti razionali (la coscienza che voleva salvare il rapporto…il ritenere che le persone malate si debbano proteggere…). Se si fosse permessa di esprimere la propria ostilità si sarebbe sentita cattiva e indegna.

Nel caso citato siamo ancora a livello di un disturbo psicologico seppure con l’interessamento di un tratto somatico (il grattarsi a sangue). Se la rimozione fosse stata più intensa si sarebbe potuto verificare un disturbo come l’ emicrania o più probabilmente, per restare nel simbolismo del sanguinamento, un’ulcera.

Attraverso una lettura simbolica possiamo cogliere che la malattia non ci colpisce a caso ma si correla simbolicamente al conflitto sotteso,

In che senso chi soffre d’ulcera ha problemi con la propria aggressività, che invece di fluire verso l’esterno viene rivolta contro se stessi?  E analogamente, ma in modo più profondo e grave, quali e quanti problemi con l’espressione dell’aggressività e quindi con la propria autoaffermazione, potrà avere chi soffre di un disturbo autoimmune, in cui il sistema immunitario invece di aggredire nemici esterni, aggredisce l’organismo stesso di cui è parte?

O più banalmente chi soffre di allergia ai pollini, alle polveri, piuttosto che ai peli di gatto, quali super difese, verso cose di per sé innocue, sta mettendo in atto? Che cosa rappresentano simbolicamente da essere ritenute tanto pericolose? Qual è il conflitto sotteso? Quali istinti, desideri, pulsioni, bisogni inconsci, la coscienza con le proprie esigenze di adattamento al mondo esterno e le proprie difese non può accogliere?

Tale conflitto, per tanti versi ineliminabile, se non trova soluzioni e accomodamenti, diviene qualcosa in cui restiamo impigliati, e crea una situazione di blocco al libero fluire dell’energia.

Una situazione di blocco, di ingorgo, di stasi, di squilibrio, di disarmonia, tanti sono i modi in cui possiamo descrivere la malattia psichica o fisica che sia.

Se poi ci chiediamo il senso di tutto questo, io penso che ogni  malattia che ci colpisce rappresenti una sfida ad evolverci e ad esprimere al meglio le nostre potenzialità. Se non lo facciamo qualcosa in noi si ribella e soffre profondamente.


Dott.ssa Maria Gurioli
Psicologa e Psicoterapeuta

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Dr.ssa Maria Gurioli

Psicologa e Psicoterapeuta a Ferrara
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