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Il regno dell’ombra: una lettura simbolica dell’intestino

Quando pensiamo ai visceri ci riferiamo principalmente a ciò che sta dentro alla pancia, là dove collochiamo anche le nostre emozioni più profonde e incontrollabili, più irriducibili e ancestrali.
Diciamo anche i visceri della terra alludendo ad insondabili ed irraggiungibili profondità.
Questa idea del profondo, del calore, dell’oscurità, ci richiama anche gli inquietanti abissi degli inferi, là dove “colui che entra deve lasciare ogni speranza”.
Se l’immaginario umano ha costruito un inferno, ciò significa che ci sono colpe da scontare, colpe indelebili da rinchiudervi, insieme a coloro che le hanno compiute. Le azioni più abiette, i pensieri più cattivi e imperdonabili.
L’intestino con i suoi budelli tortuosi, le sue acque paludose, ci ricollega inevitabilmente all’immaginario fantastico degli abissi infernali, rappresenta il nostro personale inferno.

Possiamo definirlo il regno dell’ombra, in quanto luogo della rimozione, ovvero di esclusione dalla luce della coscienza di quanto sentito come inaccettabile, riprovevole, sporco, meschino, cattivo, grossolano, vergognoso, rabbioso, che tuttavia segretamente ci appartiene.
L’”ombra” simboleggia il nostro fratello oscuro, che è inseparabile da noi, anche se invisibile alla nostra coscienza.

Fin dalla più tenera età ci hanno insegnato che i prodotti intestinali sono brutti e schifosi, che sono da allontanare il più rapidamente possibile. Ma il bambino, prima di assimilare questi condizionamenti, non prova niente di tutto questo, anzi è orgoglioso di quello che ha creato. Dice della sua cacca, che ammira nel vasino, che è bellina, piccolina o grandina, in ogni caso la guarda affettuosamente e l’odore, che per l’adulto è sgradevole, non lo disturba.
Non solo i prodotti intestinali, per il bambino, sono piacevoli, ma anche la funzione stessa dell’espulsione comporta uno specifico piacere.
Questa dinamica del trattenere e dell’espellere che il bambino incomincia a padroneggiare fra i due e i tre anni è alla base dell’autonomia e della fiducia nel proprio potere, che attraverso questa dinamica impara ad esercitare.
Le esperienze infantili improntate sulla fiducia o sulla sfiducia, nella madre e in se stesso, influiranno in modo significativo nelle esperienze digestive dell’adulto. Sia sul processo digestivo fisiologico, che sul processo digestivo psichico che comportano processi simbolicamente simili:
accogliere un nutrimento che non sarà fatto soltanto di cibo, ma anche  di esperienze, apprendimenti, relazioni, idee, che dovranno essere fatti propri, elaborati ed assimilati, infine in parte scartati per lasciare spazio al nuovo.

Ma  per rendere più concreto questo tema  proviamo a ripercorrere grossolanamente qualche nozione intorno alla fisiologia dell’intestino, le sue funzioni e disfunzioni.
L’intestino è l’ultima parte dell’apparato digerente, e si presenta come un lungo tubo ripiegato più volte su se stesso. Si compone di due parti principali, intestino tenue e crasso.
L’intestino tenue si distingue, a sua volta, in  duodeno (30 cm) e tenue mesenteriale (8m). Possiede una mucosa ricca di ghiandole (villi) e una sottomucosa ricca di linfonodi per la  difesa immunitaria.
Nella parte duodenale si versano  delle sostanze provenienti dal fegato e dal pancreas che trasformano gli amidi, i lipidi e i protidi. Dopo la digestione duodenale, le sostanze alimentari passano nel tenue mesenteriale dove ci sono degli enzimi che completano la scissione e trasformazione delle varie sostanze che, solo a questo punto vengono assorbite dal sangue attraverso i villi, versate nel fegato ed ulteriormente elaborate prima di versarsi nel sangue.
Ciò che resta del cibo passa poi nell’intestino crasso (170 cm) che si compone di intestino cieco che termina con l’appendice, colon ascendente, colon traverso, colon discendente che termina col retto.
Il colon ha l’importante funzione di riassorbire l’acqua e i sali minerali in essa disciolti, poi ciò che resta di inservibile, insieme a batteri e a cellule di desquamazione delle pareti intestinali  confluisce nella ampolla rettale per essere poi espulso attraverso lo sfintere anale. Quest’ultimo è formato da un anello muscolare in parte volontario, che permette di controllare l’apertura anale.

Introiezione, scissione, trasformazione,elaborazione, assorbimento, eliminazione, controllo, sono le funzioni che si evidenziano nel percorso che il cibo fa nell’intestino.
Salta agli occhi che tutte queste sono anche funzioni psichiche, rese possibili dal nostro cervello che, anche morfologicamente, per la presenza di anse e volute, presenta una certa somiglianza con l’intestino, tanto che quest’ultimo è stato definito cervello viscerale.
Non sono solo giochi della fantasia quelli che portano a rilevare queste analogie. All’occhio del ricercatore infatti non sfugge che là dove le funzioni psichiche citate garantiscono un buon funzionamento psichico, in modo sincronico, si potrà rilevare un buon funzionamento digestivo.

Ma per meglio comprendere questo concetto proviamo a far riferimento alle più comuni patologie che possono colpire l’intestino.

La stipsi consiste in un rallentamento del transito intestinale che va ad influire sull’assorbimento dei principi nutritivi e sull’escrezione.
Dal punto di vista psicologico e simbolico possiamo associare alla stipsi un forte bisogno di controllo e una difficoltà a  lasciarsi andare. Più in particolare ciò che viene controllato è qualcosa di sentito come vergognoso, colpevole, aggressivo, sporco. (altri tipi di emozione sentite come egualmente minacciose, ma senza la specifica tonalità della vergogna potrebbero essere controllate attraverso altri organi e funzioni fisiologiche: il cuore, il sangue, il fegato...ecc…)
Insieme ai contenuti intestinali, vengono quindi occultati alla coscienza e trattenuti, del tutto o in parte, idee, ricordi, fantasie, impulsi, considerati inaccettabili, che se portati alla luce con un atto di coscienza, creerebbero difficoltà di autoriconoscimento (es: io non sono così cattivo…meschino…invidioso…) e timori  di essere giudicati e respinti sul piano relazionale.

Un’altra importante accezione della stipsi possiamo rintracciarla nella difficoltà a dare, a donare parti di sé. Nel comune parlare, si dice di una persona poco generosa che è stitica. Non ci si vuole separare da qualcosa che è stato creato (le feci sono sentite dal bambino come una creazione) e che si possiede, quasi per la paura di immiserirsi.
Ciò si accompagna ad una mancanza di fiducia negli altri da cui non ci si può aspettare niente, che nasce da una sensazione di non sentirsi amati. La stipsi, infatti, è comunemente riscontrabile nella depressione. Ciò che viene trattenuto presso di sé, non sono solo parti buone che non vengono donate ma anche parti sentite come negative e dannose come, per esempio, sentimenti di ostilità.

Possiamo poi cogliere nella stitichezza un’ altra importante sfaccettatura che riguarda l’inconscio rifiuto di accettare  di far parte di quel processo di trasformazione che è l’aspetto più profondo ed universale del mondo vivente. Tutto nasce, cresce, muore per poi nascere ancora. Tutto si trasforma in  un continuo movimento in cui parti vecchie decadono e muoiono, per lasciare spazio a parti nuove in un processo circolare di eterno ritorno.
Presso gli antichi egizi, lo scarabeo stercorario, insetto che depone le uova dentro lo sterco trasformandolo così in elemento vitale, era il simbolo stesso della trasformazione e della creatività.
Così fa la natura intorno a noi, così fa la vita degli uomini, così fanno le cellule del nostro corpo che periodicamente si rinnovano, a tal punto che la materia di cui siamo costituiti non è più la stessa di qualche anno fa. Nella dimensione della stitichezza vi è come un freno ad aderire fiduciosamente a questo movimento trasformativo, e l’attrito che il  tentativo di controllo produce rallenta il processo digestivo, anche se non lo può impedire.

Il  meteorismo è un fastidioso accumulo di aria, difficile da espellere, provocato da fermentazione e alterazione della flora batterica.
Questo disturbo, ha molto in comune con la stitichezza, e sembra collegarsi a quote ostili e aggressive trattenute.

Il  colon irritabile è caratterizzato dall’alternarsi di periodi di stipsi con altri di diarrea. E’ uno stato infiammatori caratterizzato dalla cronica  sollecitazione delle terminazioni nervose dell’intestino.
Sul piano psicologico vi sono tutti gli aspetti che abbiamo riferito alla stitichezza: rimozione nell’ombra di quanto sentito come vergognoso e colpevole. A questo però si aggiunge il fatto che, quando il peso dei contenuti rimossi si fa insopportabile, compare la diarrea come momento purificatore e liberatorio da quegli scomodi contenuti troppo a lungo trattenuti dentro di sé.
L’alternanza dei sintomi “trattenere-lasciare andare” rappresenta momenti complementari di uno stesso atteggiamento che si può descrivere come la necessità di allontanare da sé  pulsioni, ideazioni, emozioni sentite come basse, impure, sporche, colpevoli. L’atteggiamento cosciente è di pulizia e rigore morale ma il lato torbido si fa sentire nei sogni, nelle segrete fantasie, nei sintomi del corpo.

La colite è uno stato infiammatorio della mucosa intestinale del colon che può manifestarsi in forma acuta con dolori addominali e scariche diarroiche. Può essere causata da agenti patogeni come virus e batteri ma può essere presente anche in assenza di cause identificabili.
La colite cronica presenta una sintomatologia più lieve.
La colite ulcerosa  è invece una forma grave di colite caratterizzata da ulcerazioni della mucosa e da crisi emorragiche.
Sul piano simbolico, la colite rappresenta l’instancabile tentativo di allontanare da sé i vissuti scomodi e minacciosi che abbiamo citato, di allontanarli con estrema rapidità e urgenza per l’impossibilità di trattenerli dentro di sé. La scarica diarroica, per l’incontenibile violenza con cui si manifesta, esprime forti istanze aggressive, che divengono auto aggressive e autolesionistiche là dove sono presenti ulcerazioni del tessuto intestinale.

Il morbo di Crohn è uno stato morboso che può colpire qualunque tratto dell’apparato digestivo, dalla bocca all’ano, ma più frequentemente colpisce l’ultima parte dell’intestino tenue e il colon. 
In questa patologia, a livello psicologico sono in gioco temi che riguardano analizzare, scegliere, assorbire (fare proprio), nonché lasciar andare, infatti sono queste le funzioni di questo tratto intestinale. E’ molto evidente in queste persone la difficoltà a scegliere ciò che è bene per loro. A questo si aggiunga che il morbo di Crohn è una malattia autoimmune, e ciò implica che c’è un problema a distinguere ciò che è proprio da ciò che non lo è. Il sistema immunitario, che peraltro risiede in gran parte nell’intestino, non riconosce i propri tessuti come propri e si comporta verso di essi come se fossero minacciosi agenti esterni. In ogni malattia autoimmune  ci sono importanti problemi di auto- riconoscimento e di estrema colpevolizzazione di sé.

Per concludere vorrei portare l’attenzione sulla sincronicità fra le problematiche fisiche e quelle psicologiche.
Il nostro cervello ci consente di introiettare il mondo esterno attraverso i nostri sensi e la nostra psiche pertanto si nutre di immagini, suoni, odori, sensazioni gustative e tattili. Tutte queste sensazioni sono cibo per la mente. Esse vengono introiettate,  scelte, metabolizzate e assimilate e quelle più significative divengono parte di noi stessi, come rappresentazioni, ricordi, conoscenze, impressioni indelebili, le altre vengono eliminate per non creare un eccesso di materiale inservibile.
Il mondo esterno che entra in noi attraverso i nostri sensi ci trasforma profondamente, e ciò che noi diventiamo grazie a questo nutriente contatto, a propria volta svolgerà la propria azione trasformativa sul mondo esterno in un continuo processo circolare e retroattivo.
Il mondo entra in me, ne assimilo delle parti, altre ne scarto, in conseguenza di ciò che metabolizzo mi trasformo e restituisco al mondo parti di me sotto forma di idee, comportamenti e azioni che lasceranno una qualche impronta nella realtà esterna.
Si può ben vedere come la psiche compia funzioni simili a quelle del processo digestivo: introiezione, analisi degli elementi introiettati, scelta di quelli utili e quelli no, assimilazione, rielaborazione, metabolismo, sono riferibili tanto alla psiche che all’intestino.
I disturbi che viviamo nella dimensione intestinale non sono altro che il riflesso, lo specchio, di quanto viviamo a livello psicologico.
Quindi aiutiamoci pure con le diete più appropriate, con l’acqua, con il movimento, con i rimedi naturali suggeriti dalle tradizioni mediche, ma se i disturbi persistono, se sono cronicamente presenti, è necessario prendere il coraggio di guardare globalmente al nostro modo di stare nel mondo, alle nostre relazioni, e al nostro inconscio dove risiede quell’ombra che sentiamo nemica ma che guardata in faccia potrebbe arricchire la nostra personalità e la nostra stessa vita.
Se portiamo la luce della nostra coscienza nel mondo infero del nostro intestino, accogliendo attivamente in noi quei movimenti energetici e quello scambio trasformativo cui non possiamo sottrarci, almeno una parte delle ombre che vi abitano possono dissolversi, insieme ai nostri fastidiosi disturbi.
Si può in conclusione affermare che esiste un rapporto di continuità-sincronicità tra strutture psicologiche ed eventi esistenziali da un lato, e fisiologia e patologia del corpo dall’altro. Questa relazione di sincronicità, se attentamente osservata, può permetterci di conoscerci meglio o, là dove necessario può permettere allo psicoterapeuta, attraverso un esame del continuum biopsicologico , di fare  una diagnosi  psicosomatica e di proporre un indirizzo terapeutico.


Dott.ssa Maria Gurioli
Psicologa e Psicoterapeuta

Ambiti di intervento
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Dr.ssa Maria Gurioli

Psicologa e Psicoterapeuta a Ferrara
Iscrizione Albo n. 409 del 14/11/1989
P.I. 01804291209

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